In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto.
Papa Francesco – LETTERA APOSTOLICA Misericordia et misera
E’ di questi giorni (20 Novembre 2016 per la precisione) la pubblicazione della Lettera Apostolica Misericordia et misera, a conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, aperto da Papa Francesco l’8 Dicembre 2015. La Lettera ha avuto particolare risonanza specialmente per il passo sovra citato, che appare (o almeno così è stato da molti interpretato) una inaspettata apertura della Chiesa Cattolica nei confronti dell’aborto.
Il passo prosegue con alcune precisazioni: “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.”
Ora, per quanto sempre più persone non ritengano particolarmente rilevante ciò che il Papa concede o non concede di fare ai suoi seguaci e tantomeno ai suoi sacerdoti, è comunque esperienza comune il fatto che ciò che un Papa pensa o non pensa, dice o non dice, scrive o non scrive, ha nel nostro paese importanti riflessi sulla vita sociale anche di chi della Chiesa Cattolica non fa parte, e con essa non condivide principi, credenze, riti o cerimonie.
Per questa ragione ciò che Jorge Maria Bergoglio ha scritto è apparso a molti in contraddizione con alcune parole che in molteplici occasioni aveva pronunciato il suo predecessore Joseph Ratzinger, il quale ad esempio aveva affermato davanti al Parlamento Europeo (30 Marzo 2006) che la “protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale” è uno dei “principi che non sono negoziabili” della Chiesa Cattolica.
Questo presunto cambiamento è stato addirittura interpretato da alcuni come il crollo del supporto alla cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ sull’interruzione volontaria di gravidanza, una pratica che consente ai medici cattolici di rifiutarsi di eseguire una IVG o una ITG nell’ambito di una struttura sanitaria pubblica, appellandosi appunto ad un contrasto irriducibile tra tale pratica e i principi della loro ‘coscienza’.
Le riflessioni che ritengo sia possibile fare a questo proposito sono due:
1. Innanzitutto non appare chiaro come il pronunciamento dell’attuale Papa possa risultare in contraddizione con quello del precedente, né come possa in qualche modo minare il presunto fondamento su cui si basa la cosiddetta obiezione di coscienza all’interruzione di gravidanza.
Bergoglio afferma infatti esplicitamente che “l’aborto è un grave peccato“, lo assimila addirittura all’omicidio (“pone fine a una vita innocente”) e certamente non giustifica o assolve il medico che lo esegue. Mi pare che la Lettera sia più che altro una esortazione ai sacerdoti ad ‘accompagnare i penitenti‘ nel loro ‘cammino di riconciliazione‘, penitenti che immagino siano sopratutto le donne che agli occhi del Papa e dei sacerdoti si sarebbero macchiate di tale omicidio, per poi, appunto pentirsi e auspicabilmente non reiterare il medesimo peccato. Non vedo come ciò si possa applicare a un medico che pratica per professione interruzioni di gravidanza, il quale, per rimanere in linea con la dottrina cattolica (sia versione Ratzinger, sia versione Bergoglio) dovrebbe la sera a fine turno pentirsi, effettuare nottetempo un cammino di speciale riconciliazione insieme a un sacerdote e poi la mattina dopo peccare di nuovo una volta recatosi al lavoro, per poi ripentirsi nuovamente una volta stimbrato il cartellino. Pur conscio di tutti i voli pindarici dell’etica cui l’ingerenza cattolica nello stato italiano ci ha abituato negli ultimi anni, credo che uno scenario del genere sia veramente poco sostenibile. Mi sembra invece che ancora una volta nulla sia cambiato e che appaia sempre più evidente come la professione della fede cattolica dovrebbe di fatto essere ritenuta incompatibile con l’esercizio della professione di ginecologo del servizio sanitario nazionale, in un paese come l’Italia che riconosce i suoi cittadini il diritto all’interruzione di gravidanza. La cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ è ormai sempre più una scappatoia burocratico-amministrativa che consente ad alcuni medici di aggirare un diritto dei cittadini e di conseguenza un dovere degli operatori sanitari pendenti del servizio pubblico.
2. In particolare, ritengo come diversi altri che la cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ sull’interruzione di gravidanza, non sia affatto una obiezione di coscienza propriamente detta.
L’obiezione di coscienza è una cosa seria. E’ un atto radicale che l’individuo compie quando ‘sente’ (nella sua coscienza, appunto) che la legge positiva (cioè stabilita con un atto, imposta dall’uomo, il Codice del Diritto vigente nel suo stato, in sostanza) è in inconciliabile opposizione alla legge naturale che egli segue (il suo codice morale interno, che è spesso religioso, ma può essere anche laico) e decide di seguire il proprio codice interiore, infrangendo la legge a cui è sottoposto. E assumendosi ovviamente tutte le possibili conseguenze.
Gli esempi di drammatiche obiezioni di coscienza nel nostro paese non mancano, si pensi ai disertori per motivi etici della prima guerra mondiale, oppure al celebre caso di Pietro Pinna, recentemente scomparso, primo italiano a pagare col carcere la sua obiezione, e a molti altri, inizialmente gravitanti sopratutto nelle aree dell’anarchismo, della non violenza e del socialismo (può sembrare strano oggi, ma fino agli anni ’60 l’obiezione di coscienza dei cattolici era veramente una rarità , più frequente era tra i Testimoni di Geova). In ogni caso, anche dopo che fu emanata la legge n. 772/1972 che riconosceva il diritto all’obiezione e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici, gli obiettori non andarono più in carcere, ma continuarono a pagare il fio della loro disobbedienza civile con restrizioni e punizioni di vario tipo (8 mesi di servizio in più, commissione giudicante, limitazione di alcuni diritti etc…).
Lo stesso non si può certo dire dei cosiddetti attuali ‘obiettori’ nei confronti dell’IVG/ITG. Innanzitutto manca il requisito fondamentale a cui obiettare: eseguire IVG/ITG non è infatti obbligatorio per legge. Nessuno poteva sottrarsi al servizio di leva, chiunque può sottrarsi all’esecuzione di interruzioni di gravidanza: basta ad esempio non andare a lavorare in ospedali pubblici nei quali lo stato deve per legge garantire ai cittadini l’esecuzione di tale servizio.
Anche ammesso (ma non concesso) che invece si debba lavorare in tali centri e si decida di non eseguire il servizio per motivi di coscienza, non mi pare proprio di poter ravvisare una ‘punizione’ dell’obiettore. Anzi, sempre più frequenti sono le denunce del fatto che i veri ‘danneggiati’ dal sistema sarebbero i medici non obiettori.
L’obiezione di coscienza non è pertanto una vera obiezione, non c’è alcuna legge positiva che viene violata, si tratta di fatto soltanto di una opzione che il ginecologo del servizio pubblico può liberamente scegliere senza dover rinunciare ad alcunché, né dimostrare alcuna verificabile condizione che abbia a che vedere con la sua coscienza, piuttosto che con il suo portafoglio…..
Potremmo stare lungamente a discutere se tale opzione sia da considerare lecita o non lecita in un paese ufficialmente laico e che offre un servizio sanitario pubblico di cui i cittadini dovrebbero poter usufruire senza discriminazioni (per me non è affatto lecita, ma qualcuno potrebbe pensarla diversamente), ma in ogni caso di opzione si tratta e non certamente di obiezione. Perché fosse assimilabile ad una vera obiezione di coscienza, tale scelta dovrebbe necessariamente accompagnarsi a degli effetti negativi per colui che la compie, sicuramente non ai non trascurabili vantaggi in termini di orario, qualità del lavoro e a volte anche avanzamenti di carriera, come oggi sempre più sta accadendo.
Non dico che tutti gli obiettori per definirsi tali debbano fare la fine di Antigone1, ma mi pare che come spesso accade in questo paese si stia esagerando con la permissività e con l’uso indiscriminato ed arbitrario delle parole.
1 Nella omonima tragedia di Sofocle, Antigone si oppone alla legge positiva, emanata da suo zio Creonte, re di Tebe, che le vieta la sepoltura del fratello Polinice, reo di aver attaccato la città . Antigone preferisce violare la legge del re e morire murata viva, piuttosto che violare la propria legge morale (derivata in questo caso dal culto degli dei) che le impone invece di non lasciare il fratello insepolto. Quella di Antigone è stata descritta come la prima obiezione di coscienza della storia ufficialmente documentata in letteratura.