Perché gli scienziati cambiano continuamente idea?
Fino a dove arriva il parere dello scienziato e da dove parte la scelta del politico?
Queste sono domande a cui non possibile dare una risposta facile, univoca, buona per tutte le occasioni. Ne è prova il fatto che vengono tranquillamente ignorate per gran parte dell’anno, salvo poi essere tirate fuori dai media quando succede qualcosa di eclatante, dando risposte di comodo, stiracchiate da un lato o dall’altro a seconda delle necessità .
Cose eclatanti nell’ultimo anno purtroppo ne sono successe tante, ultima in ordine di tempo la tragedia di Camilla, la ragazza ligure di 18 anni morta per un gravissimo evento cerebrale dopo la vaccinazione anti-COVID19. Questa terribile tragedia ha fatto rimbalzare di nuovo nei canali di comunicazione una serie di domande provocatorie, spesso senza risposta, e ancora più spesso caratterizzate da un tono qualunquista o forcaiolo.
Alcuni esempi:
- perché gli scienziati continuano a cambiare idea? Prima le mascherine non servivano, poi sono diventate obbligatorie; prima il vaccino Astra Zeneca era indicato solo per i giovani, poi per tutti, ora solo per gli anziani; prima dicevano che era obbligatorio fare la seconda dose con lo stesso vaccino, ora vogliono “fare il mixâ€, e così via.
- come è possibile continuare a fidarsi della scienza nonostante gli sbandamenti degli scienziati? È un po’ come chi continua a credere in Dio nonostante i preti.
- Era proprio necessario fare degli Open Day di vaccinazione per i giovani, assecondando il loro desiderio di andare in vacanza o in discoteca, senza curarsi dei rischi?
Come ho detto, sono domande a cui non c’è una risposta facile ed univoca, ma che consentono di fare qualche riflessione sui fraintendimenti che ci inducono a porle.
Il mito scientista
In primo luogo, mi pare ci sia una tendenza sempre più diffusa a cavalcare il mito positivista dello scientismo: il paragone tra scienza e religione è senza senso.
Proprio perché la scienza non è una religione, gli scienziati non sono chierici o sacerdoti e neanche papi. Quando si segue il metodo scientifico è assolutamente normale sostenere una cosa in una fase preliminare e “cambiare idea” successivamente, quando i dati cambiano. Non si tratta di “capriole” o “ribaltamenti”, si tratta di interpretazione di dati, che nel frattempo sono cambiati. È un procedimento di base della scienza, che c’è sempre stato e che in ultima analisi, la fonda.
Però di solito tutto questo non avviene in piazza (reale o virtuale), ma nei consessi e sulle riviste scientifiche. Quando l’interpretazione esce al grande pubblico, di solito i dati sono abbastanza consolidati da aver consentito un consenso tale da non aspettarsi ribaltamenti di opinioni in tempi brevi. È superfluo notare come ciò non sia accaduto nell’ultimo anno e mezzo, quando gli scienziati hanno agito in una condizione di emergenza (interpretando dati parziali e temporanei) ed i politici hanno dovuto compiere scelte sulla base di interpretazioni e di dati non definitivi.
Mi pare evidente che sia l’emergenza il problema, non la scienza.
La scienza non è esatta (ovviamente qui parliamo di biologia e medicina, non di matematica o fisica), non è una religione, e lo scientismo non ci può portare da nessuna parte. Penso sia opportuno tenerlo presente, perché la storia ci insegna che dalla crisi del positivismo nasce il nichilismo e rischiamo di trovarci di nuovo di fronte a uno scenario in cui, citando Nietzsche, non esistono più fatti, ma solo interpretazioni.
Una condizione magari anche intellettualmente stimolante, ma problematica per gestire la politica sanitaria in emergenza.
Ricerca biomedica e politica sanitaria
Il secondo punto è proprio la confusione che mi pare regni sulla separazione dei ruoli tra scienza e politica sanitaria.
La scienza non può compiere scelte politiche, può solo fornire un modello per la interpretazione di dati empirici, sulla base dei quali poi la politica compie delle scelte. Se le scelte sono state ‘giuste’ o ‘sbagliate’ (o meglio ‘condivisibili’ o ‘non condivisibili’) è una valutazione che necessariamente viene fatta a posteriori e che viene influenzata da un gran numero di fattori, molti dei quali di carattere individuale.
Ricordiamoci che dal punto di vista politico l’interpretazione dei dati non può essere asettica, ed è certamente molto più influenzata da una questione di ‘valori’ che di ‘modello’. Di fronte agli stessi dati presentati e interpretati dalla scienza, interpreti politici diversi possono compiere scelte differenti (es. di destra o di sinistra).
In questo caso, se abbiamo dei dati in continua evoluzione sul rischio di un evento avverso a vaccino nei giovani, la scienza può evidenziarlo, ma poi se fare o non fare un Open Day, se usare quel vaccino o un altro, se fare una valutazione clinica del rischio o affidarsi a una autocertificazione, sono tutte scelte che risentono della visione politica del governatore.
Pur basate sui fatti, queste scelte non possono derivare direttamente dall’esperienza e chi le compie se ne assume la responsabilità sia sul piano etico, che legale.
Una relazione complicata e in cortocircuito
In sintesi:
- si parte dai dati – che possono essere provvisori o incompleti, specie se raccolti in emergenza
- si formulano interpretazioni secondo un modello scientifico biomedico – che è sempre probabilistico e non da mai certezze assolute
- si compiono scelte di politica sanitaria – che sono invece necessariamente radicali, non consentono incertezza (o il vaccino lo offro sopra i 18 anni o non lo faccio; o organizzo gli Open Day o non li organizzo; o vaccino gli immigrati irregolari o non li vaccino etc…). Le aree grigie della scienza sono annullate e tutto diventa o bianco o nero.
In un periodo complicato come quello che stiamo vivendo si è compiuto un cortocircuito terribile, sostenuto con ogni probabilità dalla scarsa alfabetizzazione scientifica del nostro paese, che riguarda purtroppo anche molti giornalisti e addirittura alcuni scienziati.
Il cortocircuito è completo quando persone che sono abituate a parlare ‘tra pari’, cioè con persone che hanno più o meno la loro stessa competenza tecnica, si trovano catapultate di fronte al grande pubblico.
La tentazione di farsi ‘politico’ è irresistibile, l’incertezza è cancellata, i ‘forse’ diventano ‘certamente’, le opinioni diventano fatti e la normale dialettica scientifica tra interpretazioni differenti rischia di diventare uno scontro tra galli nel pollaio.
Comunicare il rischio
Tuttavia non possiamo dimenticare che la scienza ha sempre avuto molto più a che fare con l’incertezza che con la certezza.
La scienza è molto più valutazione e gestione dei rischi che evitamento tout court dei pericoli.
Se falliamo nella comunicazione dell’incertezza e del rischio, abbiamo fallito nella comunicazione della scienza.