La farmacovigilanza non è una materia semplice. E la vaccinovigilanza è ancora più complessa.
Di norma, impiego 48 ore di lezione per insegnarne agli studenti le nozioni fondamentali. In una decina di ore forse se ne possono apprendere i rudimenti. E per diventare esperti ci vuole almeno qualche anno di attività quotidiana in questo settore. Spesso servono corsi di formazione e Master universitari per imparare a dominarla.
E comunque, dopo anni di esercizio (circa 20 nel mio caso) resta sempre una disciplina insidiosa, che non lascia spazio a certezze, ma vive di probabilità e possibilità .
Quello che sta succedendo in questi giorni è la prova di questa difficoltà , con posizioni assolutistiche che si leggono sui giornali, si sentono nelle interviste e, purtroppo, si riflettono in decisioni politiche. Posizioni che si basano su alcuni preconcetti sulla farmacovigilanza che di solito si cerca di risolvere già nelle prime due ore di lezione, tanto sono grossolani e pericolosi. Vediamone i principali.
- Gli ‘eventi avversi’ a farmaci e vaccini non sono necessariamente ‘reazioni avverse’. Questa è la prima cosa che si insegna in farmacovigilanza: un evento avverso è qualunque cosa, un fatto di qualunque tipo, purché ovviamente ‘avverso’ cioè non gradito, che accade mentre si sta prendendo un farmaco o dopo che si è fatta una vaccinazione. Un evento avverso può essere correlato (raramente) o non correlato (quasi sempre) alla assunzione del farmaco o del vaccino. E allora perché ne parliamo anche se non necessariamente sono correlati? Perché a noi dei ‘sistemi di farmacovigilanza’ interessa comunque conoscere tutti gli eventi, vogliamo che le persone ce li comunichino il più presto possibile, anche se magari (anzi molto spesso) non c’entrano niente con il farmaco o il vaccino. La ragione è semplice: non vogliamo che scappi nulla (‘sensibilità ’ si chiama), preferiamo avere segnalazioni inutili, che poi scremiamo, piuttosto che perdere reazioni rare, ma potenzialmente gravi.
- Perché un evento avverso abbia valore deve essere più frequente tra le persone esposte al farmaco (o al vaccino) che fra quelle non esposte. Questa è la seconda cosa che si insegna. Non sembrerebbe un concetto difficile, no? Non basta dire ’dieci giorni fa Tizio ha fatto il vaccino e oggi ha avuto una trombosi’ perché la cosa abbia un reale valore clinico o epidemiologico. Un sacco di gente purtroppo ha trombosi (o altri eventi), che si sia vaccinata recentemente o no. Perché un evento debba essere preso in considerazione, bisogna innanzitutto che si manifesti in maniera significativamente più frequente (che abbia una ‘incidenza maggiore’ si dice) tra chi ha preso il farmaco o il vaccino (cioè tra gli ‘esposti’) rispetto a chi non li ha presi (cioè i ‘non esposti’). Finché non c’è questa dimostrazione, non è neppure il caso di cominciare a parlare della cosa. Altrimenti dovremmo approfondire ogni singolo evento (che ricordo sono ‘fatti’, ‘evenienze’, ‘occasionalità ’, cioè qualunque cosa succeda) che si verifica dopo la somministrazione di un vaccino. Mi pare chiaro che ciò, oltre a essere inutile e senza senso, porterebbe alla paralisi di qualunque sistema sanitario ed al fallimento di ogni campagna di sanità pubblica.
- Gli ‘eventi avversi’ sono riconosciuti come ‘reazioni avverse’ solo quando ne è stata definita l’imputabilità . Cioè, appurato che un evento si è manifestato DAVVERO più frequentemente tra gli ‘esposti’, si prendono gli eventi segnalati, si studiano uno per uno, con tutti i dati a disposizione e si stabilisce con quale probabilità (NB: sempre PROBABILITA’, quasi mai certezza) un evento sia stato effettivamente causato da un farmaco o vaccino (e questo si chiama ‘nesso di causalità ’). Se si riesce a definire la causalità , possiamo dire che quell’evento era effettivamente una ‘reazione avversa’ e prendere tutte le contromisure necessarie (ad esempio informare gli operatori e i cittadini, modificare il foglietto illustrativo etc…). Ribadisco ‘se’: ricordiamoci sempre che ‘correlazione non significa causalità ’, cioè se due eventi avvengono contemporaneamente, o uno dopo l’altro, non significa necessariamente che uno abbia CAUSATO l’altro.
- Un sacco di farmaci e vaccini presentano reazioni avverse, ma ciò non significa che il loro utilizzo sia dannoso per la salute dell’individuo o della società . Infine, una volta che abbiamo definito che una reazione è davvero causata da un farmaco (o vaccino), dobbiamo considerare quello che chiamiamo rapporto ‘beneficio/rischio’: cioè tutte le cose che facciamo (compresi i farmaci e i vaccini che prendiamo) hanno degli aspetti positivi e degli aspetti negativi. In sanità pubblica è come se mettessimo su una bilancia i benefici ottenuti ed i rischi corsi e poi prendessimo delle decisioni sulla base di dove si sposta l’ago. Ricordandoci sempre però che il farmaco o il vaccino perfetto non esistono: anche se alcuni vaccini hanno un rapporto beneficio/rischio stratosfericamente favorevole, il rischio di un evento avverso per quanto minimo e remoto non è mai zero. Parliamo sempre di medicina, non di matematica: l’incertezza fa parte del sistema.
Alla fine di tutto questo processo, in un limitato numero di casi, quando il bilancio beneficio/rischio non è considerato favorevole, può capitare che il farmaco o il vaccino vengano ritirati. Ma per arrivare a questo punto BISOGNA passare dai punti 1, 2, 3 e 4, non si può saltare direttamente alla fine. Non avrebbe alcun senso farlo.
Purtroppo, invece ho l’impressione che in questi giorni stia succedendo esattamente questo: un vaccino è stato messo alla gogna mediatica invocando la farmacovigilanza, ma non avendo evidentemente neanche idea di cosa questa sia. Soprattutto nella comunicazione sull’evento, sui giornali, sui social e a cascata sul piano politico, non è stato rispettato nessuno dei punti qui riportati (che, ribadisco, sono solo gli abbozzi delle fondamenta grezze della disciplina, le basi delle basi):
- non abbiamo una idea precisa di quanti siano gli eventi verificatisi dopo le vaccinazioni (circa 30? circa 40?)
- non abbiamo nessun motivo di pensare che siano di più che nella popolazione generale (i dati disponibili ad oggi sembrerebbero indicare che siano più o meno gli stessi, se non addirittura meno)
- non abbiamo nessun dato che indichi una associazione di causalità tra il vaccino e gli eventi (qualcuno parla di trombocitopenia, ma è una ipotesi e comunque varrebbe solo per alcuni dei casi studiati)
- se anche avessimo soddisfatto i tre punti precedenti (SE, SE e SE, perché ad oggi nessuno lo è) il bilancio sarebbe comunque astronomicamente a favore della vaccinazione.
Riassumendo, con i dati frammentari che abbiamo oggi a disposizione, possiamo dire che siamo di fronte a circa una quarantina di casi sospetti (NB: parliamo sempre di eventi, non di reazioni) da pesare su circa 17 MILIONI di persone vaccinate.
Pensiamo un attimo che solo in Italia stanno morendo per COVID-19 circa 300 persone ogni giorno da oltre un mese, cioè dalla ‘fine’ della seconda ondata, non al picco, ma in un momento di relativo stallo della epidemia. La proporzione non si riesce quasi a fare da quanto è schiacciante: 40 eventi (ipotetici) su 17 milioni (cioè circa 1 ogni 400.000) contro 300 nuovi morti (reali) ogni santo giorno.
Nel nostro paese abbiamo avuto un totale di 102.500 morti totali per COVID-19 in circa un anno.
Abbiamo dei vaccini che sono al di fuori di ogni dubbio in grado di AZZERARE il problema, anche se potrebbero esserci, come con tutti i farmaci, dei rarissimi problemi di sicurezza.
Potrebbero esserci, ripeto, ma ad oggi non ci sono. Non c’è ad oggi alcun motivo di pensare che gli eventi che sono stati osservati siano in qualche modo causati dalla esposizione al vaccino.
La farmacovigilanza non funziona così. Utilizzare dei principi corrotti di pseudo-farmacovigilanza per minare l’efficacia del più grande programma di sanità pubblica dell’ultimo secolo non solo è stupido, ignorante e senza senso, ma è francamente criminale. È un modo per far morire la gente.
Se ci comportassimo così con tutti i farmaci ed i vaccini, sbattendo ogni evento in prima pagina addirittura prima della definizione della sua incidenza e della imputabilità , la sanità pubblica sarebbe disgregata, sarebbe impossibile fare un programma di prevenzione ed anche curare qualunque malattia diventerebbe un serio problema.
“Niente sarà più come primaâ€, dicevano un anno fa.
Certamente non avevo creduto alla storia che ne saremmo usciti migliori.
Ma neppure credevo peggiori fino a questo punto.
Articolo molto interessante, chiaro ed esaustivo, non fa una grinza. Temo però che chi davvero ha bisogno di leggerlo si fermerà alle prime righe, se non alla fotografia…